La filosofia di Karl Ove Knausgård

All’inizio furono i Sigur Rós. O forse l’Ikea, con le sue polpettine in salsa di mirtilli e sedie poco ergonomiche. O forse è stata tutta colpa di Stieg Larsson, degli uomini che odiano le donne, delle donne che odiano gli uomini che odiano le donne e degli uomini che amano le donne che odiano gli uomini che odiano le donne. Di cosa sto parlando? Della cultura scandinava in Italia e del fatto che, dopo anni di stereotipi, romanzetti pseudoceltici e gialli agghicciandi (leggetelo come lo direbbe  Antonio Conte), finalmente è arrivato in Italia un prodotto di natura anti-commerciale (un’ autobiografia di più di tremila pagine) che ha avuto un immediato successo.

la morte del padre “La morte del padre” è il primo capitolo di una serie di libri chiamata ‘Min Kamp‘, un provocatorio riferimento all’autobiografia di Adolf Hitler, Mein Kampf, ovvero la mia lotta. Ma parliamoci chiaro: non si tratta di un saggio nazi-filosofeggiante, anzi. La scelta del titolo è legata al continuo dibattersi furioso dell’autore tra due livelli di esistenza: l’idealismo, la tensione verso l’arte, il piacere  della scrittura, il bisogno di raccontare la propria vita senza omettere nessun dettaglio, nessun nome, con la meticolosità di un pazzo; e dall’altra parte l‘odissea quotidiana, la vita nella sua continuità ciclica, la quotidianità di un uomo qualunque e della sua famiglia. Il risultato è una narrazione altalenante, che finge di incentrarsi sulla morte del padre di Karl Ove ma che finisce per parlare di tutt’altro: dei quadri di Turner, delle marche dei detersivi, delle sue abitudini mattutine, della sua prima ubriacatura, di una serie di episodi assolutamente secondari che paiono avere un ruolo fondamentale nella vita di questo quarantasettenne norvegese che compila la sua parziale autobiografia perché “credo che dalle parole, dal discorso intorno alla realtà, scaturiscano nuovi livelli di comprensione”.

Il successo che ha avuto questo romanzo è incredibile, sia in patria (un norvegese su dieci l’ha letto) sia in Italia. Eppure è un libro noioso, e lo dico senza scherzare. Leggere circa cento pagine sul Capodanno mal riuscito di un dodicenne frustrato non è divertente, ma in qualche modo ci attrae magneticamente perché la sua vita è vera, vera come la nostra ed il fatto che qualcuno abbia il coraggio di metterla nero su bianco senza omettere nessun dettaglio (pensieri omicidi e pulsioni sessuali incluse) ci incuriosisce al punto di proseguire forsennatamente alla ricerca di qualcosa: il riscatto, la morale della favola, il senso di tutto questo. E mi dispiace dirlo, ma il cerchio non si chiude mai, la vita continua a scorrere acquistando senso di tanto in tanto mentre il resto non è che tempo che scivola su di noi come un fiume stanco e sporco.

Quest’opera è stata la mia personale fonte di odi et amo per qualche mese: alle volte procedevo spedita, convinta di vedere la luce in fondo al tunnel delle sue digressioni infinite, altre volte l’ho abbandonato perché mi provocava una pena indescrivibile. Ed è proprio il sentimento di pena, di vergogna che ha spinto l’autore ad analizzare chirurgicamente il suo rapporto con il padre ed, in generale, la prima parte della sua vita, tra infanzia e adolescenza.

Knausgård-14«Quando ho cominciato a scrivere La mia lotta ero estremamente frustrato dalla mia vita e dalla mia scrittura. Volevo scrivere qualcosa di maestoso e grandioso, qualcosa come l’Amleto o come Moby Dick, ma mi trovavo con questa piccola vita, stare dietro ai bambini, cambiare i pannolini, discutere con mia moglie, incapace di scrivere qualsiasi cosa. Così ho iniziato a scrivere di quello. Durante quel processo, ho capito che funzionava, non mi piaceva ma era comunque qualcosa, non era nulla. Se leggi Hölderlin o Celan e ammiri la loro scrittura, è piena di vergogna. Scrivere di pannolini vuol dire essere completamente senza dignità. Ma poi, quello è diventato il punto. Quello era tutto il punto. Non cercare di andare altrove. Dire le cose come stanno».

Non andare a cercare altrove. Un messaggio spiazzante, dato che la letteratura nasce come finzione. Ecco perché ho deciso di riportare parte delle sue riflessioni sull’arte, sulla scrittura e sulla vita, separandole dalla mole delle sue esperienze, come se fosse un vero riassunto della sua identità in bilico tra scrittore e filosofo.

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Il secondo capitolo dell’autobiografia uscirà il 27 maggio, sempre edito da Feltrinelli (qui per prenotarlo o per semplicemente ammirare la bellissima copertina).

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