Lo scaffale degli snob

Scorrendo le classifiche dei libri di Narrativa straniera più venduti in Italia è raro scorgere un romanzo francese. Confrontando i dati di Ibs, Mondadori e Feltrinelli, la maggior parte della letteratura straniera in Italia viene da Stati Uniti e Inghilterra mentre gli autori francesi raggiungono raramente il podio e raramente dominano per molto tempo. Nonostante le classifiche di vendita non siano esattamente un dato significativo per  lettori – e qui intendo i lettori forti, per usare un termine ISTAT-, è comunque curioso il fatto che gli italiani leggano solo una percentuale minuscola dei romanzi pubblicati oltralpe, se si fa eccezione per gli sporadici bestsellers mondiali come “L’eleganza del riccio” di Muriel Barbery o le saghe di Katherine Pancol (“Gli occhi gialli dei coccodrilli” qualche anno fa e recentemente “Muchachas”), gli scrittori sentimentali come Marc Levy o Guillaume Musso, le provocazioni di Michel Houellebecq (“Sottomissione” ha fatto molto discutere l’anno scorso), gli autori già consacrati come Daniel Pennac o Eric-Emmanuel Schmitt e  quelli di genere come Georges Simenon.

3d77e4fe2698ca50b7d3bc9ebbfc7c73

 

La letteratura francese ha in realtà molto da offrire  ma rimane spesso confinata in una nicchia editoriale dalla quale fatica ad uscire per vari motivi: al di là dell’egemonia anglo-americana, la narrativa francese non prende piede per motivazioni a mio avviso puramente socio-culturali ovvero lo stereotipo che associa al cittadino francese una massiccia dose di snobismo e superiorità gratuita che viene estesa mentalmente a tutta la cultura francese. Il lettore italiano e il cittadino medio italiano rifuggono dalla cultura francese per questa sedimentazione culturale che funziona da spaventapasseri in campo letterario. In realtà la letteratura francese ha ben poco a che fare con lo snobismo sopracitato e addirittura gli stessi francesi riconoscono questo difetto come dimostra l’ultimo romanzo di Nicolas Fargues,  Au pays du p’tit (P.O.L., 2015), ancora inedito in Italia.

 

 

 

 

La trama racconta le vicissitudini del sociologo Romain Rouissen che viaggia in Russia e in seguito in America per presentare il suo ultimo saggio e lascia dietro di sé una scia di donne innamorate e di intellettuali sconcertati dalla sua feroce critica sui francesi e sui loro “piccoli” grandi difetti.

41JD6BUzlUL._AC_UL320_SR216,320_Quarantenne in crisi, il nostro ricercatore disprezza la società borghese e si rifugia nel suo ruolo di scrittore-maledetto dalla sua perspicacia – una dote abbastanza discutibile dal punto di vista del lettore- e dalla sua intelligenza stancamente nichilista. Il suo ultimo nonché primo romanzo è in realtà uno studio basato su  delle ricerche immaginarie e sembra avere un discreto successo non solo in patria ma anche all’estero. Lui, però, non ne è soddisfatto. Niente sembra avere importanza nella sua vita, eccezion fatta per la sete di conquiste di donne che non siano la sua e la soddisfazione del suo ego immenso.

 

 

Nicolas Fargues tenta di scioccare i Francesi proponendo loro un’interessante riflessione sulla loro patria, tanto amata ma decadente, il paese dei  “piccoli” piaceri come  « Un p’tit resto, un p’tit ciné, un p’tit café, une p’tite balade, un p’tit week-end, un p’tit bordeaux, un p’tit dessert » e delle grandi ipocrisie. Sfortunatamente la sua critica è offuscata dalla presenza di un antieroe troppo ingombrante: Romain è visibilmente la personificazione dei difetti tipici dei francesi “de souche” (in una traduzione abbastanza barbara, francesi D.O.C) ovvero l’arroganza, l’infedeltà, l’ignavia e l’ipocrisia ma il suo personaggio fa crescere nel lettore un senso di distacco e disprezzo che gli impedisce di comprendere il suo ruolo nel romanzo. Purtroppo però è anche vero che  la sua assenza non avrebbe fatto guadagnare al libro lo stesso successo e soprattutto la candidatura al Prix Goncourt 2015, anche se sarebbe stato un saggio di sociologia immaginaria perfetta.

 

Être agacé par les autres et se considérer soi-même supérieur au reste de l’humanité est davantage qu’un folklore national : c’est un mode de vie, une fierté, une conviction, un code génétique, bref, une culture. Il y a cependant un geste bien particulier qui, à ma connaissance, n’a pas été répertorié par les spécialistes de l’étude des comportements humains et qui me paraît parfaitement illustrer ce fameux mélange d’orgueil et de pouvoir des mots auquel je viens à l’instant de faire référence, tout en révélant au fond une grande fragilité : se hisser sur la pointe des pieds.

 

Ma l’odio dei lettori verso Romain non si potrà mai superare quello delle lettrici nel confronti del suo becero maschilismo che alimenta il binomio vecchio come il tempo di donna-martire che deve sopportare tutti i colpi di testa del protagonista senza protestare. Un’altra figura stereotipata è quella della giovane studentessa inesperta sedotta dal grande professore, una storia basata sul sesso e sul più insopportabile mansplaining ( dall’unione di man+ explaining: quando un uomo spiega generalmente a una donna qualcosa in maniera condiscendente e con un certo paternalismo di fondo).

In conclusione, un ibrido romanzesco che ha del potenziale mal sfruttato e un protagonista abbastanza detestabile che fa desiderare ai lettori di avere la fortuna di non incontrare mai in vita loro un individuo del genere. Vi lascio con questo divertente video sui clichés francesi, au revoir!

 

Kobane Calling

Incontrare Zercalcare è sempre un’esperienza mistica. Tralasciamo l’accampamento scout davanti al Circolo dei Lettori e la conta furiosa degli ammessi alla Sala Grande che di per sé sarebbero due prove che Hunger Games non vi temo, il bello arriva quando il pischello entra in sala. L’Armadillo nell’armadio, cerca di sopperire alla timidezza con dosi massicce di sarcasmo che fanno rimbombare le risate in sala. Ma ciò che davvero sconvolge è l’assoluta spontaneità che trasforma un evento quasi formale come la presentazione di un libro in una chiacchierata tra amici – e che poi sia quasi sempre l’altro Michele a parlare, beh, questa è un’altra storia..

IMG_4743

Viva la risoluzione!

La scorsa volta che l’ho incontrato è stata la presentazione di L’elenco telefonico degli accolli. L’atmosfera era più distesa perchè, come dice lui, era solo l’ennesimo libro sulla dipendenza da plumcakes e serie tv. Si è parlato di Secco e delle sue avventure all’aeroporto di Istanbul (che si trovano poi alla fine di Kobane Calling), dell’amore per le bombe carta e della divisione in fasce orarie della somministrazione giornaliera di serie tv. A proposito, vi posso solo dire che mentre lavora (aka quando fa finta di lavorare ma non risponde al telefono lo stesso) si dedica a quelle trashissime, a pranzo a quelle “tranquille” come Grey’s Anatomy (al massimo muore metà cast alla prima forchettata di pasta ma vabè) e la sera ai thriller come Narcos e True Detective.

 

12992851_586704361488354_1859435174_n

Viva la risoluzione! (pt.2)

COVER-KOBANE-CALLINGKobane Calling è essenzialmente la storia dei due viaggi di Michele nelle zone di resistenza e combattimento curde in Iraq, Turchia e Siria. Kobane Calling è anche il tentativo di spiegare la guerra siriana in maniera diretta, semplice, ma non per questo priva di sfaccettature e contraddizioni.

Questa volta l’atmosfera dell’incontro è stata  diversa.  L’engagement porta anche a questo e per fortuna l’equilibrio tra serietà e cazzate, tra spiegoni semiseri sul Rojava e i disagi della vita quotidiana, si trova facilmente. Michele è rimasto comunque di nuovo fino a notte fonda a firmare fumetti e a fare disegnini personalizzati (e a scrivere REBIBBIA REGNA su ogni muro vuoto).

La prima pagina della mia copia di Kobane Calling ha un armadillo che esclama “Ciao Robè!” ed il resto è fittamente cosparso di post-it. Ai fumetti non è lecito fare le orecchie o sottolineare quindi mi sono aggiustata così per segnare le pagine memorabili. E ce ne sono molte. Ci sono state delle tavole che mi hanno fatto ridere a voce alta (soprattutto la scena dell’aeroporto ad Istanbul) ed altre che mi hanno fatto sentire un groppo in gola fortissimo (il kamikaze ad Amara). Ci sono anche alcune pagine di testimonianze vere e proprie di oppositori politici al governo turco che valgono più di ogni maratona di Mentana (scusa Enrico), più di ogni articolo zeppo di tecnicismi geopolitici, più delle immagini cruente. Qualche striscia, poca spiegazione, la storia della resistenza in poche pagine nere. Esperienze sparse qua e là che fanno pensare tutte le giuste cause che non combatti per paura di avere già perso, a quanta vita c’è nello sposare un ideale, al perché tutto ti sembra così distante e così vicino in questo piccolo confuso mondo alla periferia dell’universo. Ma vi risparmio ulteriori pipponi dicendo semplicemente: leggete questo libro, anche se non vi piace il genere, anzi, forse proprio per cambiare idea.

10897513_10152914418126760_10152914417001760_29896_2160_b

“Se perdono loro, perdono tutti.”

Limortaccitua, Zerocalca’.

 

Post-it #2: Kerouac, Apollinaire e le stelle

tumblr_nhyn1uHfeY1rylczjo1_500.gif

Perché per me l’unica gente possibile sono i pazzi, quelli che sono pazzi di vita, pazzi per parlare, pazzi per essere salvati, vogliosi di ogni cosa allo stesso tempo, quelli che mai sbadigliano o dicono un luogo comune, ma bruciano, bruciano, bruciano, come favolosi fuochi artificiali color giallo che esplodono come ragni attraverso le stelle e nel mezzo si vede la luce azzurra dello scoppio centrale e tutti fanno “Oooohhh!”.

(Sulla strada- Jack Kerouac, 1957)

b9d66298e360166369c7bade04438cb6

“Every night the Sahara fills my skull with stars.”- Missy Dunaway

Mes amis m’ont enfin avoué leur mépris
Je buvais à pleins verres les étoiles
Un ange a exterminé pendant que je dormais
Les agneaux les pasteurs des tristes bergeries
De faux centurions emportaient le vinaigre
Et les gueux mal blessés par l’épurge dansaient
Étoiles de l’éveil je n’en connais aucune
Les becs de gaz pissaient leur flamme au clair de lune
Des croque-morts avec des bocks tintaient des glas
À la clarté des bougies tombaient vaille que vaille
Des faux-cols sur des flots de jupes mal brossées
Des accouchées masquées fêtaient leurs relevailles
La ville cette nuit semblait un archipel
Des femmes demandaient l’amour et la dulie
Et sombre sombre fleuve je me rappelle
Les ombres qui passaient n’étaient jamais jolies

Je n’ai plus même pitié de moi
Et ne puis exprimer mon tourment de silence
Tous les mots que j’avais à dire se sont changés en étoiles

(Les Fiançailles, “Alcools”-Guillaume Apollinaire, 1913)

Hopper alla Casa Bianca

A differenza di molti, io non amo il binge watching. Nonostante sia davvero invitante l’idea guardare un episodio dopo l’altro semplicemente per curiosità,  preferisco assaporarmi una serie episodio per episodio, sempre però in uno piccolo lasso di tempo come due o tre settimane. Questa tecnica mi permette sia di vedere abbastanza in fretta l’evoluzione della narrazione e soprattutto di ricordarne ogni passaggio che spesso  è di capitale importanza per le serie tv che attingono dal serbatoio letterario per creare veri e propri affreschi dickensiani, come afferma Franzen:

«Non credo che le serie tv abbiano ovviamente preso il posto del romanzo, le ritengo piuttosto un sottogenere della forma-romanzo, ecco. Quello che stanno rimpiazzando è il bisogno che veniva soddisfatto da un certo tipo di realismo da Diciannovesimo secolo. Quando leggi Dickens ottieni gli stessi effetti narrativi che ti danno le serie televisive, ma senza quel gioco di cambi di prospettiva e di giochi verbali sull’interiorità che solo il romanzo moderno può generare ».

Per leggere l’intervista completa, cliccate qui.

In questo senso un mondo che sembrava limitato e declassato ad un ruolo di mero intrattenimento come quello della televisione sta venendo lentamente rivalutato grazie all’abbinamento della visione e della narrazione ad altre arti come la musica e la pittura.

Ho da poco terminato la visione della quarta stagione di House of Cards , una serie che ho seguito dall’inizio e con la quale ho una certa confidenza: ne conosco i toni, le sequenze, i dialoghi e soprattutto le ambientazioni e la fotografia. Soprattutto per quando riguarda queste ultime, non ho potute fare a meno di notare che sono prevalentemente asettiche, geometriche e ansiogene, costruite ad hoc per dare un senso di eleganza, ordine ma anche di sottile tensione. Le inquadrature schematiche, le luci nette, la ripetizione di oggetti scenici (come le abat-jour o i quadri) e soprattutto il senso di ordine angoscioso mi hanno fatto venire in mente le opere di uno dei più importanti pittori americani, Edaward Hopper e la sua tecnica realistica. Mi sono quindi divertita ad abbinare scene e tele per ritrovare lo stesso gusto americano e per avvicinare questi due mondi, arte e serie tv, che meriterebbero di condividere la scena più spesso.

Spero che questo post ibrido vi sia piaciuto perchè ne ho tanti altri in mente e soprattutto vorrei approfondire alcuni aspetti di House of Cards, una serie che vale davvero la pena di guardare dall’inizio alla fine. Stay tuned!