Book Haul #2

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Sempre per la rubrica Chitel’hachiesto, torna a scarsissima richiesta un nuovo Book Haul sulle mie letture autunnali.

Il giardino dei Finzi-Contini di Giorgio Bassani

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Un libro che in realtà ho già finito di leggere e su cui sto rimurginando a lungo prima di scriverne la recensione. Si tratta del racconto della (breve) vita di una famiglia ebrea ferrerese agli inizi della Seconda Guerra Mondiale vista dal punto di vista esterno di un amico di famiglia, innamorato della giovane Micòl e amico del fratello Alberto. Mi ha lasciato un grande senso di calore, accoglienza, inclusione nella vita privata di questa famiglia che risulta così particolare agli occhi di chi non ne fa parte per la sua esclusività e la sua immensa casa: allo stesso tempo, un senso di profonda impotenza e rimpianto accompagna la narrazione del protagonista che ricorda le sue occasioni mancate.

Rinascimento Privato di Maria Bellonci

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Ero sul punto di abbandonarlo dopo il primo capitolo qualche sera fa ma ho deciso di resistere e tentare la lettura di questo romanzo Premio Strega scritto dalla fondatrice del Premio Strega (tutto vero, lo giuro). Quella che la quarta di copertina definisce una ‘‘potente prosa sintattica”, per me si traduce in brevi frasi enigmatiche e costanti salti temporali che mi lasciano alquanto spaesata. Insomma, una sfida.

Life after Life by Kate Atkinson

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Comprato a New York prima dell’estate, ho deciso di riprenderlo in mano perchè ho visto che è apparsa in libreria la traduzione italiana con la stessa identica copertina. La trama è molto interessante – una donna che muore e rinasce, costantemente, e vive tutti i drammi del Novecento – e mi ricorda vagamente The Age of Adeline, un film uscito di recente che si salva solo perchè Blake Lively è figa e fotogenica perfino con i vestiti con la stessa fantasia del divano a fiori di mia nonna.

Cime tempestose di Emily Brontë

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E’ da circa un anno che rimando la lettura di questo classico che promette un sacco di struggimenti sentimentali. Aspetto solo la prima domenica di pioggia per iniziarlo con l’atmosfera giusta.

Pillole Blu di Frederik Peeters

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Sono entrata in libreria con l’intenzione di comprare una graphic novel per colmare le mie spaventose lacune in materia. Ero convinta a comprare un’altro libro ma sono stata magneticamente attratta dalla bancarella con su scritto 25% di sconto sulle opere edite dalla Bao Publishing e così mi sono ritrovata tra le mani la seconda pubblicazione di Pillole Blu, una graphic novel francese che tratta il delicato tema dell’HIV all’interno di una relazione sentimentale. Sono a metà, vi farò sapere.

Ogni cosa è illuminata di Jonathan Safran Foer

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Il caro Johnny è il mio amore grande nonchè autore di uno dei miei libri preferiti ovvero Molto forte, incredibilmente vicino. Nonostante tutto questo immenso affetto, la prima lettura del suo secondo romanzo è fallita miseramente dopo poche pagine perchè mi sono ritrovata spaesata dalla vicenda e soprattutto dai personaggi più strani di sempre. Magari è solo il mio essere fuori-allenamento in fatto di umorismo foeriano che mi ha fatto perdere il filo. Da riprovare.

E voi, cosa leggerete quest’autunno?

Tre mostre da vedere quest’inverno

Quest’inverno andranno di moda il bordeaux e gli Impressionisti e non ho neanche bisogno della sfera magica per dirvelo. Primo, perchè sono entrata da Zara e l’ho capito subito. Secondo, perchè ho sbirciato le nuove esposizioni temporanee di Torino, Milano e Roma. Ecco qualche informazione utile (per quanto riguarda il bordeaux, so che ci penserà qualche simpatica fashion blogger):

Torino, Galleria d’Arte Moderna

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Dopo la deludentissima mostra su Modigliani (mi han detto che di Modigliani c’era molto poco) e la fantastica mostra su Tamara de Lempika, arriva Monet a chiudere il cerchio nel 2012 con la mostra su Degas e seguita da Renoir l’anno scorso. I quadri annunciati sul sito sono La Gazza, Prova di figura all’aria aperta: Donna con il parasole girata verso destra, La barca a Giverny, Il Parlamento di Londra, Le déjeuner sur l’herbe ed anche due versioni della Cattedrale di Rouen, all’ombra e in pieno sole.  In totale, più di quaranta quadri arriveranno direttamente dal magnifico Musée d’Orsay di Parigi.

6297679_400588La mostra è aperta dal al 2 Ottobre 2015 al 31 Gennaio, 2016 e la GAM si trova in Via Magenta, 31 a Torino. Un consiglio ai turisti per caso: se avete l’occasione di restare a Torino per qualche giorno, fatelo. Ne vale la pena. E se non basto io a convincervi , sentite cosa dice Giuseppe Culicchia in Torino è casa nostra, la nuova edizione di una splendida guida d’autore che dà pochi punti di riferimento ma molta voglia di perdersi sotto i portici di questa magnifica ma spesso dimenticata città.

Per ulteriori informazioni, visitate il sito della GAM qui.

Genova,  Dagli Impressionisti a Picasso

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Dopo l’incredibile esposizione su Frida Kahlo della scorsa primavera, a Genova arrivano direttamente dal Detroit Institute of Arts i capolavori di Van Gogh, Gauguin, Monet, Cézanne, Degas, Renoir, Matisse, Modigliani, Kandinsky, Picasso. A quest’ultimo è dedicata una sala monografica con sei dipinti mentre il vero gioiello della mostra è L’autoritratto con il cappello di paglia di Van Gogh.

La mostra è aperta dal 25 settembre al 10 aprile 2016 e terrà luogo all’interno del Palazzo Ducale, in particolare nell’ Appartamento del Doge che si trova in Piazza Matteotti, 9. Andateci anche solo per un mangiare un po’ di sana focaccia unta.

Per ulteriori informazioni, cliccate qui.

Roma, Impressionisti: Tête-à-tête

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Insomma, se avevate in mente di andare a Parigi in autunno, annullate tutto perchè sarà Parigi a venire da noi. Sempre dal Musée d’Orsay (e dal Louvre la Gioconda non si sposta mai? ), più di sessanta opere e dieci sculture legate al movimento impressionista verranno esposte a Roma. Dal 15 Ottobre Edouard Manet, Pierre-Auguste Renoir, Edgar Degas, Frédéric Bazille, Camille Pissarro, Paul Cézanne, Berthe Morisot visiteranno la Capitale e ci rimarranno fino al 7 Febbraio. La mostra si terrà al Complesso del Vittoriano, Ala Brasini
Salone delle mostre temporanee. Se ne volete sapere di più, cliccate qui.

Allora, chi viene con me a vederle tutte?

Storie di vita, morte e neurochirurgia

donoharmEspiazione, oltre ad essere il titolo di uno dei migliori romanzi dello scrittore britannico Ian McEwan , è una parola affascinante. Se la si spoglia infatti dalla sua forte connotazione religiosa legata al pentimento e alla punizione, si scorge un significato che non ha bisogno di aggeggi infernali per venir espresso: espiare i propri errori significa ammetterli ad alta voce e, in alcuni casi, nero su bianco. E’ questa l’intenzione di Henry Marsh, neurochirurgo britannico e autore di Do No Harm: Stories about Life, Death and Neurosurgery, il racconto della sua carriera professionale attraverso 25 capitoli che riassumono un lungo cammino costellato di grandi successi e vergognosi fallimenti. A differenza di ciò che si potrebbe aspettare da un chirurgo (si sa, loro sono i più grandi peccatori di hybris di tutti i tempi), Henry Marsh non si autocelebra ricordando i suoi casi migliori ma  ricorda soprattutto le sue scelte sbagliate, gli errori in sala e la profonda tristezza che comporta non riuscire ad alleviare le sofferenze del prossimo, se non peggiorarle drasticamente.

Tutti siamo stati pazienti nel corso della nostra vita e la più grande qualità di questo libro è la capacità di ribaltare il nostro punto di vista e dimostrare come le cose siano sorprendentemente difficili anche per chi si prende cura di noi. Come pazienti tendiamo spesso a mitizzare la figura del medico o del chirurgo, innalzandolo alla pari di un dio che può salvare la nostra  vita o farla finire per sempre. Raramente ci rendiamo conto che anche i medici sono esseri umani e non divinità primitive e soprattutto che soffrono quanto noi, se non in una maniera più subdola e sottile a causa dell’incertezza:  Operare o non operare?, that is the question, in termini shakespeariani.

Few people outside medicine realize that what tortures doctors most is uncertainty, rather than the fact they often deal with people who are suffering or who are about to die. (…) Every day I will make several dozen decisions that, if they are wrong, can have terrible consequences. My patients desperately need to believe in me, and I need to believe myself as well.

Nonostante sia alle soglie della pensione, Henry Marsh non smette di stupirsi ogni giorno per la complessità del cervello umano, mantenendo viva la curiosità che lo spinse a sbirciare in una sala operatoria tempo prima e a scorgere un neurochirurgo operare un aneurisma, una bomba a orologeria nel mezzo del cervello del paziente. Fu amore a prima vista.

Sometimes, if the dissection is particularly difficult and intense, or dangerous, I will pause for a while, rest my hand on the arm-rests, and look at the brain I am operating on. Are the thoughts that I am thinking as I look at this solid lump of fatty protein covered in blood vessels really made out of the same stuff? And the answer always comes back – they are – and the thought itself is too crazy, too incomprehensible, and I get on with the operation.

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Tuttavia, una raccolta di fallimenti non dovrebbe sembrare un buon prodotto agli occhi di un editore: chi vorrebbe affogare nei rimpianti degli altri quando tutti abbiamo già un bel daffare con i nostri? Eppure il segreto di questo libro è l’incredibile sincerità con cui un uomo, un semplice uomo, ammette di aver sbagliato e lo fa guardandoci negli occhi, attraverso le pagine. Il suo sguardo è limpido, la sua commozione è sincera, le sue intenzioni erano buone ma non sono bastate. E c’è di più: oltre ad offrire uno sguardo critico sulla situazione ospedaliera britannica (e ucraina), il libro è particolarmente divertente proprio perchè lui, Henry Marsh, è un personaggio sarcastico e irriverente:

When I have had to break a nad news I never know wheter I have done it well or not. The patients aren’t going to ring me up afterwards and say ‘Mr Marsh, I really liked the way you told me that I was going to die’, or ‘Mr. Marsh, you were crap’. You can only hope that you haven’t made too much of a mess of it.

Ed è così che tra battute esilaranti e scatti d’ira furibondi, una lunga fila di pazienti e colleghi e qualche riflessione esistenziale, la cronaca di più di una dozzina di operazioni scorre velocemente sotto i nostri occhi, presentandoci con un sapore antropologico una nuova specie che ci sembrava sconosciuta: l’uomo che non ha paura di avere paura.

Vita da Aupair

C’è chi, per mettersi alla prova, sceglie uno sport estremo: paracadutismo, bunjee jumping, trekking,etc. Io invece ho scelto di vivere due mesi lontano da casa e lavorare come aupair in Spagna – e credo che fare l’aupair sia il nuovo sport estremo. Altro che Bear Grylls!

Prima di tutto, cosa vuol dire fare l’aupair? In teoria sei la babysitter di uno o più bambini, in pratica devi integrarti nella loro famiglia e trasformarti nella loro sorella adottiva. Spesso sei tenuta a parlare in inglese con loro, specialmente d’estate in modo che le nozioni scolastiche non vadano perse tra la piscina e la spiaggia, e sono richiesti anche una serie di aiuti in casa che non hanno niente a che fare con la cura dei bambini (lavare i piatti, scopare per terra, stendere i panni, etc.) a discrezione della famiglia ospitante.

Dopo dodici anni di violenta convivenza con mio fratello, ho pensato che sarebbe stato bello vedere realizzato il mio sogno di avere una sorella: me ne sono capitate due, di 7 e 9 anni, la cui fragile sopportazione si basava sull’amore comune per Doraemon ed il culto estremista di Violetta. Quello che mi era sfuggito prima di scegliere di prendermi cura di due bambine è quella cosa in cui pochi credono ma che esiste davvero ed è il miscuglio di concorrenza spietata e invidia rancorosa tra femmine, almeno tra sorelle così vicine di età: mentre con mio fratello le ingiurie si risolvevano abbastanza velocemente con qualche calcio e si dimenticavano (quasi) per sempre, tra due sorelle una parola detta è una promessa che, se non mantenuta, fa scoppiare inferno di grida e pianti isterici. In ogni caso, ho avuto la mia occasione di prender un Master in code di cavallo e castelli di sabbia, so tutte le canzoni di Violetta a memoria e sono diventata più creativa di Giovanni Muciaccia (colla vinilica non ti temo!).

Il primo giorno di luglio, resistere due mesi lontano da casa e dalla mia famiglia mi sembrava facile, una passeggiata. Ora che sono tornata, riconosco che non so davvero come ce l’ho fatta a sopportare certe situazioni senza l’appoggio affettivo delle mie persone care che mi hanno aiutato attraverso il pericolante cavo telefonico e sfidando l’assenza di campo, connessione e di tempo per avere una chiacchierata come si deve. Alla fine ho smesso di telefonare perché il groppo in gola di sentire la voce dei miei nonni era troppo grande, meglio tenere duro e cercare di tornare a casa con qualche bel ricordo e un sacco di quel bene costoso ma immateriale che è l’esperienza. Come sopravvissuta, mi piacerebbe dare alcuni consigli a chi avrà come me la pazza idea di fare quest’esperienza o semplicemente soddisfare qualche curiosità taciuta attraverso questo post che continua con una serie di avvertimenti e precauzioni su viaggi, famiglie e le gioie di essere un’aupair nel weekend (ovvero nei giorni liberi).

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  • Il fatto che ti piacciano i bambini non vuol dire che ti piaceranno anche quei bambini. A volte ci si dimentica che i bambini sono persone in miniatura che, come tutte le altre, portano con se la propria scorta di grandi gioie e grandi dolori. Non aspettatevi degli angioletti, questo è poco ma sicuro: altrimenti non avrebbero bisogno di una aupair.
  • Lo sbaglio più grande e più comune che puoi commettere è quello di cercare di educare i bambini alla stessa maniera in cui sei stato educato tu. Ognuno di noi riceve un’educazione fin dai primi giorni di vita ed è quasi un istinto naturale quello di cercare di correggere i bambini alla stessa maniera in cui i tuoi genitori hanno corretto te, o comunque cercare di inculcare loro delle regole che per te sono fondamentali (per esempio, che non si gioca a palla in casa, che non si possono mangiare biscotti a colazione, pranzo e cena, che i piselli a mala pena sanno di verdura e quindi sono perfettamente commestibili). Bene, cercate di evitare tutto questo perché a) non è compito vostro: è compito dei genitori b) vi risparmiate un sacco di fatica e di amaro in bocca c) quando sarete tornati a casa, difficilmente continueranno a mantenere le te abitudini quindi tanto vale lasciare il lavoro sporco ai genitori e limitarsi a assecondare i bambini per quanto possibile e, se non è possibile, riprenderli in maniera leggera e segnalarlo ai genitori. Bisogna cercare di essere più dame di compagnia e meno maestrine di galateo, se si vuole sopravvivere.
  • Il capitolo sui genitori sarà molto breve: assecondateli sempre onde evitare scontri inutili. Cercate di tenere le vostre idee politiche e personali per voi, anche se l’impulso di dire “sembra che i tuoi figli siano stati allevati da un branco di macachi” certe volte è molto forte. Limitate le lamentele al minimo e cercate di chiedere ciò che vi manca con prontezza in modo da vivere serenamente e nel rispetto comune.
  • Si dice che i viaggi fanno le persone ma secondo me la verità è che sono le persone a fare i viaggi. Mi spiego: essere una aupair è come fare automaticamente parte di una comunità. Avete presente l’imbarazzo vacanziero di conoscere nuove persone per non rimanere tutte le sere a giocare a carte con i tuoi? Ecco, dimenticatevelo. Una volta presi i contatti attraverso i gruppi su Facebook o l’agenzia, incontrare un’altra aupair è semplice e spontaneo dato che condividete le stesse preoccupazioni e le stesse lamentele, anche se siete di età differenti e venite da nazioni lontanissime. In due mesi ho incontrato una decina di altre aupair (inglesi, irlandesi, tedesche e qualche simpaticissima italiana) e insieme abbiamo visitato Málaga, Sevilla, Córdoba e Granada ovvero l’essenza dell’ Andalusia. Sono molto contenta dei mini-viaggi che ho fatto (dato che i miei due giorni liberi erano sabato e domenica, le mie fughe turistiche erano brevi ma intense) e delle persone che ho incontrato, ma soprattutto di tutte le cose che ho visto in così poco tempo. In questo senso, sento di non aver sprecato il mio tempo in generale e soprattutto il mio tempo libero: non sottovalutate quanto sia stressante passare cinque giorni a stretto contatto con due bambine perché si arriva al venerdì sera che si ha veramente bisogno di avere una conversazione decente con qualcuno che non fa storie per mangiare cena e sa rimanere seduto per più di un quarto d’ora.
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    Málaga, con Giorgia

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    Málaga con Daria, Terri & Una

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    Sevilla con Margarita

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    Córdoba con Alessandra

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    Granada con Sophie

Manuale dì sopravvivenza: come intrattenere bambine pigre

  1. Giochi di società: prime in classifica le carte da gioco, pratiche da trasportare ovunque e con regole semplici da capire e ricordare (e quando dico pratiche intendo dire che hanno salvato più di un viaggio in macchina, nonostante qualche accenno di nausea). Al secondo posto ci sono i classici di sempre come il gioco dell’oca, la tombola, Monopoli e chi più ne ha, più ne metta. Al terzo posto i racchettoni da spiaggia, le biglie, secchiello e paletta e tanta voglia di costruire castelli di sabbia.
  2. Carta e penna. Mai sottovalutare la creatività latente dei bambini: il progetto che ha avuto più successo è stato quello di riempire un diario di disegni e scritte che è diventato il mio diario di viaggio, pieno di ricordi e scarabocchi. Ha avuto anche molto successo l’idea di costruire coroncine di carta per le due principesse di casa e per il miglior suddito (il cane) e l’idea di addobbare la camera con fiocchi di neve cartacei, in perfetto stile Frozen.
  3. Canzoncine e balletti. Tutto il repertorio di filastrocche e motivetti dell’asilo può tornare utile per consolare una bambina in lacrime o per intrattenerle con poco. Se non ve ne ricordate nessuna (o non ne sapete in inglese), fatevene insegnare una o due e riproponetela nei momenti più inaspettati.

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Dopo tutto questa serie di commenti acidi e consigli furbetti, è lecito chiedersi se ho imparato qualcosa e soprattutto se c’è un lato positivo in tutto questo. Personalmente, credo di sì. Ci sono state giorni pesanti come macigni, litigate furiose e nervi tesi come corde di violino ma ci sono anche stati giorni stupendi in cui ho costruito un rapporto solido con le bambine, un’amicizia sincera che va oltre la convivenza forzata. Tra i momenti migliori che porto con me ci sono la volta in cui ho chiesto alla bambina più piccola di cucinarmi una pizza margherita in spiaggia e lei è tornata con una pizza di sabbia con un fiore di pietroline e la scusa che “non si trovano margherite in spiaggia”, ogni volta in cui mi hanno dato un bacio della buonanotte, lo sguardo che accompagnava ogni “non voglio che tu torni in Italia”, ogni sorriso dopo un pianto. Ho imparato molto su cosa vuol dire lavorare con i bambini, cos’è davvero una famiglia e come vorrei educare i bambini che forse avrò in futuro. Ma soprattutto, ho imparato che l’imbragatura più resistente è il coraggio e che un’avventura di due mesi ti mette in soqquadro una vita intera.

Tre brevi recensioni per lettori che non hanno tempo da perdere #1

cecitàCecità di José Saramago è un romanzo apocalittico ma soprattutto filosofico: la cecità si diffonde viralmente, contagia piano piano tutto il mondo fino a diventare una condizione assoluta, nonché un pretesto per sottolineare la noncuranza, la brutalità, il declino della società umana verso l’individualismo. Il romanzo segue le vicende di una serie di personaggi senza nomi, tratteggiati attraverso perifrasi impersonali come ‘la moglie del medico’, ‘la ragazza dagli occhiali scuri’, ‘il vecchio con la benda nera sull’occhio’ e altri, che vengono contagiati per primi e quindi rinchiusi in un ex manicomio. La quarantena risulta poco efficace: il morbo si diffonde inesorabilmente, senza distinzioni di sesso, religione e classe sociale finchè l’organizzazione sociale sparisce, lasciando il mondo allo sbaraglio.

Il manicomio appare come un microcosmo fintamente ordinato che contiene tutta l’umanità, e contenendola include tutti i suoi pregi e difetti, le virtù e le bassezze di ogni uomo. ”Il mondo è tutto qui dentro” viene da pensare a qualcuno, come se si fosse prelevata una fetta della popolazione e fatto un sondaggio: cosa proveresti se fossi cieco, all’improvviso?

Privi di indicazioni temporali o geografiche, è facile immedesimarsi nei personaggi, provare empatia per la loro condizione primaria e riflettere su come l’assenza di un semplice organo di senso possa condizionare le nostre vite. Ogni azione apparentemente normale diventa un’impresa titanica, le città sono discariche a cielo aperto, l’umanità vaga senza meta, sporca, affamata, ferita, gli istinti più bassi vengono a galla come l’avidità, la lussuria, l’avarizia, e la natura umana si mostra per quella che è: primitiva, ora e per sempre.

diodiiluusioniDio di illusioni di Donna Tartt è in apparenza un semplice romanzo di formazione con un’atmosfera simile a quella del film L’attimo fuggente, con il recentemente scomparso Robin Williams come attore principale. Le somiglianze tra le due opere sono molte: un college nel Vermont, un gruppo di ragazzi amanti del sapere, un professore fuori dal comune,  ma ciò che li rende ancora più simili sono i temi principali: la sottile linea che separa la vita dalla morte e la voglia di sfidare il mondo, che esso sia impersonato dal padre del protagonista nell’Attimo Fuggente o da un dio, come in questo libro.

Il Dio di Illusioni a cui fa riferimento il titolo è il dio greco Dioniso, il dio del vino e dell’ebbrezza, che viene descritto nel libro come “Maestro d’illusione, rende capaci i suoi devoti di vedere il mondo come non è”. E’ sotto il suo influsso che si svolgevano i Riti Dionisiaci, antichi rituali che prevedevano il raggiungimento di un’estasi profonda indotta da balli sfrenati, orge ed omofagia (cibarsi di cibi crudi dilaniati con le proprie mani) . Ed è proprio l’illusione di essere speciali, di essere in qualche modo anche legati al passato sepolto dai secoli, alla Grecia Antica, unici abitatori permanenti di quel ‘bellissimo e tormentoso paesaggio, morto da secoli’ che li spinge a ricrearne uno, prima con risultati insoddisfacenti e poi con un esito sconcertante: un assassinio.

When in doubt, read McEwan.

mcewan, ianI romanzi di Ian McEwan funzionano come la medicina omeopatica: vanno assunti in dosi minime, uno o due libri per volta, per un lungo periodo di tempo affinché facciano il loro corso e sveglino nel lettore una coscienza sopita, una maniera particolare di guardare il mondo. Un bel giorno il lettore si sveglia e capisce che un’innocente bugia può marcare profondamente la vita delle persone (Espiazione), che le famiglie sono dei microcosmi autonomi nei quali sussistono leggi private e sinistre (Il cimitero di cemento), che il confine tra spiritualità e ragionevolezza può crollare come il muro di Berlino (Cani Neri), e che gli eventi di una semplice giornata – tra un attacco terroristico, una visita all’ospizio, un pizzico di sesso mattutino e molto jazz – possono sconvolgere una vita (Sabato). Se non avete ancora iniziato, fatelo quest’estate: prendete un romanzo di McEwan e lasciate che faccia effetto.

Book haul estivo

Dall’inglese ‘book’ ovvero libro e ‘haul‘, letteralmente ‘ma chi cazzo te l’ha chiesto?’, il book haul è un post in cui viene stilata la lista di libri appena comprati che colonizzano il comodino in attesa di esser letti.  Questa è la pila originale di libri estivi, e-book esclusi. (Purtroppo non ho potuto portarli tutti con me in vacanza a causa del limite dei venti kg di bagaglio di Easyjet. Maledetti!)

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La trama del matrimonio

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The Dreamers, Bernardo Bertolucci, 2003.

Ci si può arrabbiare con un libro per esser stato diverso da come ce l’eravamo aspettato? Io credo di sì e so che anche Pennac sarebbe d’accordo con me, aggiungendo un undicesimo comandamento ai suoi Diritti del lettore. Quello che mi aspettavo da La trama del matrimonio (The Marriage Plot nella versione in lingua originale che ho letto) era una storia d’amore complessa, con una trama articolata e dei personaggi interessanti: Jeffrey Eugenides, autore dei più celebri Le Vergini Suicide e Middlesex, sembrava capace di raggiungere questi tre obiettivi ma, girata l’ultima pagina del romanzo, mi sento di dire che Eugenides è un bravissimo arciere che tira frecce sghembe, mancando il centro del bersaglio per eccesso.

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Femminista non è una parolaccia: Riflessioni di una poco di buono

Come in ogni racconto che si rispetti, inizio dicendo che i fatti narrati sono tratti da una storia vera e che ogni riferimento a cose, persone, luoghi è voluto in modo da rendere chiaro il messaggio che voglio trasmettere. Nessuna profezia della fine del mondo o dell’arrivo del messia, promesso. Solo un invito a pensare con la testa.

C’erano una volta quindi, un gruppo di amiche che sabato sera uscirono per andare a bere qualcosa in un locale del centro. Niente di speciale, solo per divertirsi un po’ insieme. Prima di uscire da un locale, una mia amica mi riferisce che un ragazzo aveva commentato ad alta voce il mio vestito e la mia persona, definendomi una poco di buono (per non utilizzare l’esatto termine utilizzato dallo specialista in questione ovvero troia) ad andare in giro conciata così.

Ora, bisognerebbe dire che c’erano trenta gradi, che il vestito era corto fino a metà coscia, scollato sul davanti e sul dietro senza essere eccessivo, che era di cotone blu con dei pallini bianchi, che ai piedi avevo un paio di espadrillas nere ed una borsa nera di pelle.

Ah no aspetta. Non ho bisogno di giustificarmi. In fondo, nessun uomo si giustifica mai per come si veste. Nessun uomo è mai giudicato così malignamente per come si veste.  Nessun uomo prova la vergogna di sentirsi a disagio con se stesso a causa di un pezzo di stoffa. Ma io sì perchè sono una femmina e quindi merito di essere tratta come un pezzo di carne ambulante.

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L’egoismo di Olive Kitteridge

Come si riconosce un classico? In genere dalla polvere sulla copertina.

Scherzi a parte, ultimamente mi sono chiesta cosa faccia guadagnare ad un romanzo l’ambitissima etichetta dorata di classico della letteratura e soprattutto cosa significhi per me in quanto lettrice. Cos’è un classico per me? Un romanzo che parla dei grandi temi della vita attraverso episodi singolari ma allo stesso tempo universalmente condivisibili. Ecco perchè credo che Olive Kitterdige sia destinato a diventare un classico della letteratura americana.

974Elizabeth Strout sceglie il microcosmo di Crosby, una cittadina del Maine, come sfondo per una serie di capitoli-racconti che sono autonomi, cronologicamente disposti ma soprattutto accumunati da un fil rouge: il rimando a Olive Kitteridge, scorbutica insegnante di matematica che con la sua presenza o influenza su altri personaggi viene progressivamente descritta da diversi punti di vista, senza mai arrivare ad averne un ritratto preciso ma incessantemente nebuloso e contraddittorio. Attorno ad Olive gravitano il marito dal cuore d’oro, Henry, ed il sensibilissimo figlio Christopher, componendo così un nucleo famigliare apparentemente semplice che rivela alcune crepe al suo interno: Olive non sopporta la dolcezza di Henry e sabota tutti i suoi gesti affettuosi e Christopher è spesso umiliato psicologicamente e fisicamente dalla madre, scontenta del suo atteggiamento apatico e della sua misera media scolastica.

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